Il miracolo di Flavia e Roberta – Mezza Riga n. 9
Un’impresa impossibile diventa realtà: battendo Simona Halep e Serena Williams, Pennetta e Vinci si contendono il trofeo. Come si arrivò alla storica finale italiana dello US Open 2015
Testo di Elena Marinelli
Illustrazione di Emanuela Carnevale
Roberta acquista il biglietto aereo di ritorno in Italia già prima di giocarsi la sua semifinale, perché Flavia avrebbe forse potuto tentare qualcosa contro Simona, ma lei non avrebbe avuto alcuna chance contro Serena: è scritto, lo dicono tutti. E in effetti, alla vigilia delle due semifinali dello US Open 2015, nessuno immagina una conclusione tutta italiana. Tutti si aspettano che a contendersi l’ultimo Slam dell’anno siano Simona Halep e Serena Williams, con quest’ultima davanti alla possibilità di completare il Grande Slam. Il 10 e 11 settembre, insomma, sembrano due giornate dal copione già definito. Flavia Pennetta e Roberta Vinci, pur protagoniste di un torneo straordinario, avrebbero dovuto accontentarsi dell’impresa già compiuta. D’altronde, davanti hanno due campionesse Slam, due certezze assolute, menti lucide e corpi preparati per un certo tipo di partite, quelle che vanno immaginate per filo e per segno, per essere vinte prima ancora di essere giocate. E poi, in fondo, nessuno avrebbe potuto mettersi tra Serena Williams e la Storia.

Giovedì 10 settembre in 1 ora e 20 minuti, Flavia Pennetta demolisce con il punteggio di 6-1, 6-3 la testa di serie numero 2, Simona Halep, che gioca male e sottotono per molti tratti della partita. Flavia non solo approfitta delle incertezze continue dell’avversaria, ma gioca in modo solido, pulito, in linea con il livello molto alto che tiene dall’inizio del torneo. Lo US Open 2015 sarebbe stato in ogni caso un passo importante per la sua carriera che sarebbe terminata a fine anno, e in particolare prima dello Slam dichiara che avrebbe giocato in modo differente, senza pressioni eccessive, ritrovandosi in una condizione irripetibile: in piena forma e con la mente libera.
Contro la rumena disputa una delle partite migliori della sua stagione: punto dopo punto dimostra consapevolezza, e anche quando l’avversaria tenta la risalita, all’inizio del secondo set, con la disperazione a trascinarla e a darle una scossa, la sua testa ormai è su un altro livello di tenuta, non si lascia ingannare dalle premesse, ma punta i piedi su un terreno oggettivo: ha giocato meglio fino a quel momento, è stata più precisa, ha il vantaggio di aver conquistato il primo set e di non dover avere a che fare con una situazione da “tutto per tutto”. Resiste e convince, se stessa prima di tutti. Passa attraverso l’apparente tormenta, mentre l’avversaria prova a recuperare, ritrovando la concentrazione.
Resta fedele al suo intento – giocare con la mente libera – e questo alla fine fa la differenza: mentre lascia l’avversaria a scontrarsi con se stessa, lei può evitare l’ossessione della costruzione. Affonda con 12 punti consecutivi e la dimensione dell’impresa prepartita si ridimensiona in un colpo: diventa prima possibile, poi realtà. Anche il punteggio finale lo racconta, in un certo senso: non c’è mai stata vera partita. La mente presente nel momento permette a Flavia di avere sempre chiara la strategia da applicare, di avere il gioco in mano, e non ci sono cali di concentrazione, non c’è appiglio al quale Halep può davvero aggrapparsi. “Penso di aver giocato molto bene. Non è cambiato nulla. Ho solo provato a giocare il miglior match possibile, senza pensare al tabellone, ed eccomi qui. E sono molto felice. Grazie mille, grazie a tutti”, dice dopo aver superato la sua semifinale.
Venerdì 11 settembre, dopo 3 ore e 4 minuti giocati in tre set in rimonta, Roberta Vinci è incredula e sull’Arthur Ashe di Flushing Meadows dà le coordinate per qualsiasi possibile interpretazione della partita: “Ho perso il primo set, ho provato a salvare ogni singolo punto. Ho cercato di non pensare al match, a Serena”. E quasi come a confermarlo a se stessa prima che a tutto il mondo: “Ho battuto Serena”. La lezione di tennis che ne emerge è quella che si cerca spesso invano: quando sei sotto nel punteggio e di fronte a te c’è la persona imbattibile, l’unica soluzione è giocarsela ed è in questo modo che la numero 43 del mondo batte la numero 1 con un punteggio di 2-6, 6-4, 6-4, confezionando la prima finale tutta italiana in uno Slam tennistico.
Battere Serena Williams nel 2015 sarebbe stata un’impresa in ogni torneo, ma farlo in quella specifica partita sarebbe stato ancora più complicato: non solo quello era lo Slam preferito della campionessa in carica, che lo aveva già conquistato per sei volte e nelle tre edizioni precedenti, ma perché con quella finale vinta Serena avrebbe potuto chiudere il Grande Slam. La tennista statunitense gioca un primo set solido, quasi atteso: prende in mano la partita con servizio e dritto e l’italiana non riesce a contenerla; vince 6-2 in modo netto, in soli 31 minuti, senza dare agli spettatori la sensazione che ci sia competizione. L’ultimo game del primo set, il secondo break per Serena, ne è l’esempio: Roberta prende solo il primo quindici e poi riceve risposte chirurgiche vincenti e nessuna sbavatura di concentrazione, nessuna minima possibilità di scalfire lo spazio di gioco di Williams. Roberta prova con lo slice, con l’accelerazione, prova con l’anticipo ma senza risultato. Il punteggio è sul 15-40, ma l’italiana annulla i due set point portando il punteggio in parità.
Forse è qui la svolta del match: Williams, con in mano due set point, manda un rovescio in rete malamente e, sul servizio al centro perfetto, un diritto lungo, fuori dal campo. Continua a guardare il suo angolo, cerca confronto; Roberta, invece, si concentra guardando solo le palline, contando solo su se stessa. Il game lo vince comunque Williams, ma questo game è come uno scarto dell’immagine in movimento della partita.
Roberta è una giocatrice con grande capacità analitica che sul campo non sa sempre nascondere la frustrazione o la gioia. È un tratto particolare, il suo: tanto riesce a rimanere lucida, forte di uno stile di gioco che punta sulla finezza dei tocchi, su un rovescio in back tra i migliori del circuito e all’eccellente capacità di cambiare ritmo allo scambio, tanto le capita di comunicare sofferenza o esaltazione senza freni. Al netto di infortuni o problemi fisici, è una delle giocatrici più fedeli alla bellezza del gioco; ha un’attitudine sottile nel capire le partite, i suoi momenti, quelli delle avversarie, il calcolo della tensione giusta per non affondare.
Quando Flavia racconta il suo tennis, invece, ne parla sempre con un senso implicito di totalità rispetto alla sua vita: ciò che mostra durante le partite è ciò che sperimenta fuori, che rimugina, di cui è felice o totalmente insoddisfatta. È il suo modo di affrontare i giri difficili di un match, i punti vinti, i cambi campo e il contesto, tutto insieme, senza riuscire mai davvero a separare le vicende private da quelle di gioco. A volte questa qualità può rivelarsi un impedimento, ma in altri momenti le consente di raggiungere traguardi che ogni volta sono come un’esplosione: tempo minimo di preparazione, botto iridescente.
L'ultima volta che Flavia e Roberta si affrontano prima di questa partita è nel quarto di finale dell’edizione 2013 dello stesso torneo, quando la prima vince in tre set raggiungendo la sua prima semifinale Slam. Prima di trovarsi una contro l’altra, Roberta veniva da una vittoria contro una qualificata speciale del torneo, Camila Giorgi, che aveva conquistato il pubblico dello Slam dopo la sorprendente vittoria contro la numero 1 Caroline Wozniacki. Si ritrovava davanti a una folla poco amica, che probabilmente desiderava una vittoria della giocatrice più giovane, una sorta di happy ending da favola. Dal canto suo, invece, Flavia batteva ancora Simona Halep, in una partita in cui l’italiana faceva forza sulla concentrazione, nonostante uno scambio di 19 colpi e 2 match point persi, fino a un lucido dritto sulla riga per il 6-2, 7-6 della partita.
Flavia arriva alla finale del 2015 da favorita, non solo perché sostenuta da una più solida storia nel singolare, ma anche per la semifinale meno estenuante che ha affrontato. Il match parte teso, con errori da entrambe le parti e un richiamo alla pazienza di Flavia: lo dice al suo box, ma non solo. Anche Roberta deve sopportare il ritmo della gara, perché anche se lotta fin dall’inizio, salvando 6 palle break nei primi venti minuti, sale su una montagna russa costante e sente la fatica più di tutti: dalla sua semifinale sono passate circa ventiquattro ore.
Le due tenniste si sono conosciute da piccole, partite entrambe dalla Puglia, per approdare sullo stesso palcoscenico, condividendo gli impegni di Fed Cup (oggi Billie Jean King Cup). Ma già dal primo set si assiste a modi diversi di interpretare il tennis: anche a distanza di dieci anni, è difficile sceglierne uno, dall’altra parte dell’oceano e guardandole da un televisore. Invece, a partire dal 4-2 del primo set in favore di Flavia, il pubblico di Flushing Meadows si schiera dalla parte di Roberta – che dirà dopo la partita: “Tifavano per me, stranamente” –, quando guadagna un quindici come solo una fine campionessa di doppio sa fare: a rete, senza lasciare campo all’avversaria, smussando la potenza e togliendo profondità con la tecnica e la posizione. Terrà il servizio. Sul 4-3, Flavia non mantiene i nervi saldi: un suo doppio fallo regala a Roberta il 40 pari dell’ottavo game, che conquista il 4 pari nel set con due rovesci incrociati. Il primo parziale, e forse la partita, si decide nei game che seguono, perché entrambe spendono molto: Roberta in difesa per tenere il servizio del 6-5 e Flavia per ritrovare profondità.
Il tie-break si apre con il servizio di Roberta che sceglie di comandare lo scambio da fondo campo ed esercitare la calma; Flavia al servizio decide per l’ace centrale prima e un colpo in velocità poi; Roberta è a ogni punto meno lucida, più stanca, trova meno angoli, patisce il carico dei fondamentali di Flavia, che a sua volta si prende il tie-break, e poi anche la partita. Fedele alle attese.
Una solleva la coppa, l’altra lo testimonia accanto. Non mancano i sorrisi, non sembra possibile la delusione, e il ritiro dal tennis sul campo da parte di Flavia aggiunge un tocco di invidiabile classe e lucidità. È quello il momento giusto, e la cosa più complicata è capirlo. Roberta definirà più di una volta questa partita con un’iperbole, come un miracolo, perché contiene circostanze sorprendenti: l’evento singolare per la sua carriera; l’evento memorabile per quella di Flavia; ma a ben guardare, per noi che, in Italia, seguiamo dalla TV, il miracolo del pareggio è davvero accaduto – per un attimo, in un preciso frangente della partita – prima della fine del primo set, prima del tie-break, sul 6 pari, quando ormai l’emozione iniziale è ormai risolta e il carico tensivo del match è dimenticato. In quei pochi punti c’è tutto: l’attesa, il successo, la tecnica, la tenacia. Non si sa di chi, non si sa come. È successo che fosse di entrambe, sul limite della rete, da una parte e dall’altra, e questo sì che è un miracolo, l’impresa impossibile del tennis: la storia che si ferma sul 6 pari.
Elena Marinelli abita a Milano, è autrice di Il terzo incomodo (Baldini + Castoldi), Steffi Graf (66thand2nd) e di due racconti per le raccolte Rivali (Einaudi) e Fondamentali (66thand2nd). Tra le sue collaborazioni: Ultimo Uomo, Undici, Lucy - Sulla cultura e ilLibraio.it.
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