“Ma come ha fatto?” – Mezza Riga n. 8
Ci siamo convinti che Alcaraz sia quello dal gioco “più bello da vedere” e Sinner quello noioso. Se ne parlerà per i prossimi quindici anni, ma non c’è niente di più falso
Tutti noi appassionati italiani di tennis ne discutiamo ossessivamente. Con le ultime due finali Slam alle spalle, una per parte, spesso ci ritroviamo a tifare ovviamente per Jannik Sinner, ma a parteggiare segretamente per il tennis di Carlos Alcaraz, perché lo spagnolo sa fare delle cose pazzesche con grande naturalezza. Ha più fantasia, più armi; il gioco dell’altoatesino è – alla fin fine – un po’ noioso. Ma è vero?
Mi associo a Gianni Montieri quando dice che non è così. Anche Jannik ci ha fatto vedere delle cose inenarrabili, dei punti persino difficili da raccontare per il grado di difficoltà, ma non è solo questo: laddove del murciano ricordiamo palle corte, volée, recuperi impossibili – questi ultimi, comunque, prerogativa anche dell’altro, a partire dalla capriola sull’erba di Halle –, le geometrie dell’italiano sono maestose.
C’è un momento preciso della finale di Wimbledon, non saprei dirvi quale esattamente, in cui le rette e gli angoli mi sono parsi poetici in un modo tutto loro. Un rovescio lungolinea, in particolare, colpito con tale precisione, perfezione, velocità da farmi pensare che se non ci fossero state quelle maledette forze fisiche delle quali siamo schiavi, gravità e attrito, si sarebbe trasformato in una semiretta come ce la insegnano a scuola, quando provano a farci entrare in testa, a noi caproni che vediamo solo la concretezza del quaderno, della matita, del righello, qualcosa di astratto, un insieme di punti allineati lungo una stessa direzione che prosegue all’infinito. I Greci, a cui dobbiamo un pezzo fondamentale del nostro ideale di bellezza, avrebbero amato follemente l’euclideo Sinner.
Buona lettura,
Simone
Testo di Gianni Montieri
Illustrazione di Paolo Metaldi
Ogni tanto mi chiedo se esistano partite di tennis brutte, se io ne abbia mai viste, se non ne abbia lasciato la visione a un certo punto perché non succedeva niente di interessante, figuriamoci se di bello. Però, mi viene difficile immaginare una batteria di tre, quattro, cinque set, in cui non si sia manifestata per un istante almeno la meraviglia. Non tutte sono Borg-McEnroe a Wimbledon nel 1980, eppure sono sicuro che anche in partite noiose tra un Medvedev contro chi vi pare, Zverev, Fritz, Tsitsipas, partite in cui ci sembra si tiri solo forte, ogni tanto dal nulla capita la bellezza: una palla corta senza rimedio, da lasciare incredulo anche l’autore del colpo, un lob inventato dal nulla, e così via. Lo spettacolo non ci lascia mai (il desiderio che ne abbiamo) è nascosto dietro l’angolo, in fondo a quello che stiamo giudicando il game più noioso di sempre. All’interno di questo paradigma esistono i tennisti spettacolari, fantasiosi, imprevedibili e quelli no. La nuova sottocategoria semplifica e mette i due fenomeni, il numero 1 e il numero 2 al mondo, ai due lati della barricata della genialità. Troppo facile.

Ma come ha fatto? È una domanda (per la quale non ci aspettiamo risposta) che facciamo spesso quando guardiamo una partita di tennis, ancora più spesso quando a disputarla sono i giocatori più forti. Si tratta di un quesito emozionale, un punto di domanda disegnato dallo stupore, un wow al massimo della sua estensione vocale. Il racconto degli esperti di tennis, dei giornalisti, dei tifosi – negli ultimi due anni soprattutto – sta trasportando, abbinando, sovrapponendo ogni Ma come ha fatto? ai colpi, a decine di colpi di Carlos Alcaraz. L’esempio ce lo abbiamo ancora tutti negli occhi: il punto con cui lo spagnolo si porta a casa il primo set della finale di Wimbledon. Sinner serve nel momento più complesso della partita fino a quel punto (e forse, col senno di poi, il momento più complicato in generale). Il servizio è centrale, Alcaraz risponde di diritto, seguono due diritti a testa, poi Sinner accelera alla sua maniera con un diritto incrociato, lo spagnolo si salva con un allungo difensivo, improbabile per quasi tutto il resto del circuito. Sinner gli rigioca sul diritto, immaginando forse un contropiede che non si verifica. Alcaraz spara un diritto molto forte, incrociato e preciso, parliamo sempre di righe, in prossimità dello sbuffo bianco. Sinner, come se niente fosse, arriva e libera il braccio in un diritto lungolinea che sarebbe un vincente praticamente contro chiunque, sempre. Ma non quel giorno, non contro Alcaraz. Il colpo di Sinner è profondo, potente, preciso, il talento di Murcia ci arriva in allungo, in spaccata, di rovescio e trasforma – come gli riesce di frequente – un colpo giocato in difesa in un punto incredibile. Il suo rovescio si tramuta in una sorta di palla corta, di smorzata, di colpo bloccato, possiamo definirlo come ci pare. La verità è che arriva dall’altra parte, dal lato opposto rispetto a dove è rimasto Sinner, si deposita sull’erba con due rimbalzi troppo vicini ed è punto, ed è primo set.

Eccoci, Ma come ha fatto?, dicono sugli spalti di Wimbledon, si domandano i telecronisti di tutto il mondo, ripeto io sulla mia poltrona e a catena gli amici via WhatsApp. Alcaraz si porta la mano all’orecchio, in quel gesto da ragazzo, a tratti insopportabile e dice senza parlare al pubblico: Ma come ho fatto? Solo uno non si è chiesto come abbia fatto perché sa che è possibile, ed è quello che è arrivato tardi sulla palla, che in fondo nemmeno ci ha provato, quello che sta dall’altra parte delle rete. Alcaraz è un tennista geniale, il pubblico lo sa e si aspetta colpi del genere da lui. Me li aspetto anche io ma non sempre, me li aspetto solo quando servono, in quel punto serviva tutta la sua classe imprevedibile, e allora la bellezza ha viaggiato di pari passo con l’essenzialità.
Nello sport si vive di dicotomie, di paragoni, si sprecano aggettivi, il tennis non fa eccezioni. Dopo un po’ di tempo (nemmeno moltissimo), vediamo di nuovo giocare due ragazzi, due fenomeni. Molto diversi per atteggiamento, postura, modo di interpretare le partite. Anche l’attitudine alla vittoria la manifestano in maniera diversa, eppure ce l’hanno entrambi. In questo avanzare in simbiosi, vinco io, vinci tu, domino io, domini tu, il futuro è un po’ mio e un po’ tuo, per non dire del presente, in questo avanzare, nel racconto, si è deciso che Alcaraz è quello spettacolare e imprevedibile, Sinner è quello regolare, preciso, costante. Chi scrive questo pezzo non è d’accordo, non del tutto, non sempre. Quando mai lo spettacolo, la genialità, l’imprevedibilità corrispondono a una sola modalità? O, peggio ancora, a una sola regola? Pensate per un istante a quanto sia imprevedibile la poesia. Lo è per forma, sostanza, modalità di concezione e di scrittura. Non è mai esistito nella storia della letteratura un poeta geniale, che fosse uno soltanto. Sono esistiti, nella stessa epoca, poeti e poete spettacolari – sì – e distanti anni luce gli uni dalle altre. È la poesia, è il tennis, facciamocene una ragione.
Se volessimo adeguarci al racconto comodo e immaginare Sinner e Alcaraz come due poeti, così per giocare, potremmo dire che l’italiano è un poeta della tradizione, attento alla forma, alla giusta alternanza tra endecasillabi e settenari. Capace di sciogliere un intero game nei 14 versi di un sonetto. Allo stesso modo, potremmo affermare che Alcaraz è un poeta da verso libero, da prosa poetica, addirittura in certi casi, sperimentale. Capace di far correre la palla in maniera irregolare come versi sdruccioli, con parole apparentemente slegate tra loro. Ma noi non vogliamo adeguarci al racconto perché non vogliamo far torto ai due campioni. Sinner poeta che segue la forma, che conosce le regole della metrica, è capace di abbandonarla quando si cava fuori da una situazione difficile con una palla corta, un rovescio incrociato, un lungolinea. Alcaraz poeta irregolare, conosce comunque le regole e la metrica ed è in grado, all’occorrenza, di ricamare un’ottava come se avesse sognato Ariosto la notte prima. Entrambi sanno che il rettangolo è come un foglio, c’è lo spazio che la pallina occupa ed esiste l’altro spazio da controllare, come in poesia, con lo spazio bianco intorno alle parole, il silenzio prima del rimbalzo che conta quanto e più di un aggettivo.
Un poeta geniale, prendiamo per esempio Vittorio Sereni, non scriverà mai un verso di troppo, non userà l’aggettivo in eccesso solo perché sta bene, solo perché qualcuno leggendo potrebbe pensare: Ma come ha fatto? Fermerà l’ultimo verso quando sarà certo di fare punto, quando la parola ultima è caduta dalla parte giusta della rete. Perfetto, ecco come ha fatto. Sereni comincia una celebre poesia scrivendo “Solo vera è l’estate e questa sua luce / che vi livella”. Due versi, servizio profondo e diritto, dove le prime quattro parole sono talmente efficaci e piene di senso che sono un ace. Sereni va a punto senza aver bisogno di farci leggere il resto della poesia. E, uscendo un attimo dalla trama, possiamo dire che solo vera è l’estate quando c’è Wimbledon. Alcaraz sovente cerca il colpo bello quando non è in condizione ideale per farlo, quando non gli serve e in quei casi gli capita di perdere il punto e, di conseguenza ogni tanto, le partite. Ricordiamo un colpo poco meno che bello di Federer? No. Ricordiamo un colpo bello e inutile di Federer? No. Tutta la grazia di Roger Federer è sempre stata finalizzata al punto. Ricordiamo una finta inutile di Maradona? No, Maradona fintava e dribblava quando era necessario, altrimenti passava la palla di prima. Ogni suo gesto sul campo era finalizzato al gol. Poi tra dribblare Maldini e fare tre tunnel estivi contro il Pescara c’è tutta la differenza del mondo. Alcaraz ogni tanto pensa di giocare contro il Pescara e il tunnel gli viene male.
Ma come ha fatto? Prendiamo la stessa partita in un’altra fase e vediamo quanto possa essere spettacolare ed efficace Jannik Sinner, geniale e poetico quanto Alcaraz. Nell’ultimo game del secondo set, tre dei quattro punti che occorrono a Sinner sono eccezionali, incantevoli, spettacolari. Da spellarsi le mani, esattamente come per Alcaraz nel set precedente. Primo 15. Seconda di servizio dell’italiano, parte lo scambio, ci sono tre-quattro colpi interlocutori, poi Alcaraz accelera di rovescio, con un bellissimo lungolinea, Sinner ci arriva in allungo un po’ in affanno e di diritto rimanda la palla al centro del campo. Sembra una situazione comoda per lo spagnolo, forse troppo, magari è uno o due passi troppo distante dalla rete, fatto sta che la sua palla corta non lo è abbastanza, Sinner arriva in corsa e si esibisce nel suo celebre rovescio incrociato, pulitissimo, angolato tanto anche per Alcaraz. Passiamo più avanti, siamo 30-15. Ancora una seconda di servizio per il numero uno del mondo, risposta di rovescio e ancora un rovescio da quest’altra parte. Alcaraz tenta di accelerare col diritto, non sembra abbastanza – o forse lo sarebbe con qualcun altro di rimpetto –, Sinner arriva a tutta velocità e infila un passante lungolinea che strappa qualche filo d’erba. Applausi. Punto successivo e set point. Uno scambio eccezionale, indimenticabile. Prima forte e centrale di Sinner, risposta di diritto imperfetta di Alcaraz, diritto lungolinea di Sinner, incrociato di Alcaraz. Siamo senza fiato. Diritto lungolinea di Sinner, rovescio incrociato dello spagnolo, rovescio lungolinea, diritto incrociato splendido ancora di Alcaraz. Pausa. Questo è già uno scambio spettacolare, manca solo una cosa, manca il Ma come ha fatto?, ed eccoci. Il colpo di Alcaraz sarebbe valso mezzo punto o punto con altri, qua no. L’imprevedibile sta per arrivare. Si chiama Sinner che arriva su quella palla – che cade nel rettangolo alto alla sua destra – con la leggerezza di una farfalla, sembra non toccare l’erba e forse è davvero così. Esce dalla gabbia metrica, libera il braccio e incrocia di diritto nel rettangolo alto alla destra dell’avversario. I nostri wow si estendono, è il punto che fa ruotare gran parte del match. Perciò è bellissimo, spettacolare, e vale molto più di un set. Quando Alcaraz vede Sinner arrivare sulla palla sa già che farà il punto: lui lo sa, noi dobbiamo aspettare il colpo.

Esistono vari livelli e tipi di bellezza, su un campo da tennis ne abbiamo visti tanti, ma solo pochi si manifestano più volte durante la stagione e nei tornei più importanti. Un amico mi ha detto che, secondo lui, per Alcaraz essere imprevedibile è un’esigenza, mentre per Sinner no. Parafrasando Guccini, potremmo affermare che il numero 1 al mondo ci arrivi per contrarietà, solo se costretto. Però, se anche questo fosse vero, se i due istinti di partenza fossero così distanti, non potremmo dire che allo stato dei fatti l’uno sia più o meno spettacolare dell’altro. Se saremo fortunati, verrà un tempo in cui dovremo selezionare tanti Alcaraz moments e, credo, almeno altrettanti Sinner moments.
Nel tempo che viviamo, la sfida è tra chi dei due è più forte, e il barometro oscilla da una parte all’altra di mese in mese. Esiste il piano di bellezza inarrivabile di Federer e quello incantevole di alcune giornate di Musetti, di Bublik, e poi una bellezza costante come una musica che si autoalimenta e che nasce dalle racchette di Sinner e Alcaraz: godiamocela, tifando chi ci pare tra i due, oppure entrambi.
Anna Maria Carpi, eccezionale poeta milanese, scrive – in quella che, tra le altre cose, chiamo la poesia di Wimbledon: “Cos’è la terra? Erba / aria folate erba / fruscio contesa / fra radicati e sradicati. / E tu fra i due chi sei?”. Meravigliosa. Erba aria folate erba fruscio contesa. Applicatela a Wimbledon, ripetete con me. Radicati e sradicati. Sinner e Alcaraz sono entrambe le cose, radicati al campo e al gioco, sradicati per l’estro, il genio, il talento. E tu fra i due chi sei? Chi scegli? Magari nessuno, magari solo il filo d’erba che si stacca per un lungolinea di Sinner, il gesso bianco che sbuffa per una smorzata di Alcaraz.
Gianni Montieri è nato a Giugliano, in provincia di Napoli. Scrive di letteratura e di sport per varie testate. Il suo libro di poesia più recente è Ampi margini (Liberaria). L’ultimo di sport è Il Napoli è la terza stagione (66thand2nd). Vive a Venezia.
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bellissimo articolo! e complimenti per le bellissime illustrazioni