Qualcosa sul tennis – Mezza Riga n. 0
Ritratti, reportage, approfondimenti e saggi personali: una newsletter di giornalismo letterario. Il lunedì, ogni due settimane
Sono tra quelli che hanno smesso, almeno per un po’. Una lunga fiammata giovanile, allenamenti tre volte a settimana durante l’inverno al circolo Massimi di Roma, zona Balduina, ora chiuso e abbandonato, e poi intere settimane nei centri estivi della FIT. Il mio era Sestola, più nota per essere la patria di Alberto Tomba, dove il direttore Giancarlo Trentin esercitava una disciplina ferrea per tenere a bada centinaia di bambini e ragazzini scaraventati dalle famiglie in quell’angolo meraviglioso di appennino emiliano del quale, sia detto, vedevamo molto poco: campi da tennis, dormitori, qualche passaggio in paese con in testa i cappellini rossi e bianchi col nome scritto a pennarello sopra che serviva a non perderci. Trentin è morto pochi mesi fa a 92 anni, ho letto su Facebook da fonte affidabile, e mi sono ricordato che Sestola è proprio il posto nel quale si è spenta la luce.
Avrò avuto 16 anni, ero in preagonistica e nel torneo finale dovetti giocare il primo turno contro un tale (Gianluca, mi pare) con il quale non avrei avuto comunque alcuna speranza, ma giocai la partita peggiore della mia prima vita tennistica: palle finite a metà rete, altre lunghe di due metri, un paio contro le protezioni di fondo, doppi falli infiniti e un senso di sofferenza e frustrazione che la mia memoria emotiva mi fa rivivere ancora oggi con dolore, a distanza di oltre trent’anni. In breve, era finita e passai al basket.
Nessuno mi aveva insegnato a gestire una sconfitta, una giornata storta, una cattiva performance, senza che la vivessi come un’umiliazione dalla quale non mi sarei più ripreso. La violenza mentale del tennis, che tocca indifferentemente professionisti, amatori e pippe assolute – quale ero e sono a tutt’oggi – si era manifestata in maniera dirompente.
Se la scarsa ma pregiata letteratura tennistica è stracolma di riferimenti, a volte anche un po’ retorici, ai dialoghi interiori del giocatore, effettivi o immaginati, è perché la poesia, la bellezza, il fascino di questo sport risiedono tanto nel gesto tecnico o atletico, quanto in quella tensione intellettuale costante che attraversa ogni incontro: la scelta dei colpi, la lettura dell’avversario, la conoscenza di se stessi, la capacità di tenere a bada i pensieri negativi, pensare al prossimo punto e non al precedente. Sono le cose che rendono grandi i grandi e fanno sì che tra i primi 100 del mondo, che in fondo sono tutti giocatori pazzeschi, ci siano differenze tanto ampie.

Mi sono riavvicinato a questo sport pochi anni fa, diventandone ossessionato proprio per la caratteristica che me lo ha fatto odiare da adolescente: sei da solo ed è totalizzante. Con Gianluca Di Tommaso, impallinato quanto me, ci siamo detti che avremmo voluto leggere qualcosa che si occupasse non tanto e non solo di punteggi, colpi memorabili, scalate di classifica, trionfi, sconfitte, racchette spaccate, infortuni, ma di tutto quello che c’è intorno ai giocatori e dentro di loro. Jannik Sinner sta per tornare in campo, tutti confidiamo nella sua proverbiale (“proverbiale”! è così giovane!) freddezza e stabilità mentale, ma cosa passa nella testa di uno costretto a stare lontano da quel rettangolo per questioni di doping o infortuni quando rientra in uno stadio pieno di gente? Che vita fa un giocatore condannato ai challenger o alle parti basse della classifica? Cosa c’è dietro l’ossessione per un’incordatura, una racchetta, il posizionamento di bottigliette d’acqua e integratori, i tic prima del servizio, i crolli improvvisi, le ascese fulminanti, le carriere che esplodono tardi come quella di Jasmine Paolini? Che diavolo di vita fa un giudice di sedia e quante ne deve subire?

Così con Gianluca, che oltre a condividere la mia ossessione e l’idea di un’ascendenza divina di Roger Federer, è anche un editore di libri (NR edizioni) e di newsletter (NightReview), abbiamo deciso che per leggere quello che volevamo leggere avremmo dovuto pensarci noi. Il lunedì, ogni due settimane, con qualche eccezione legata al calendario dei grandi tornei, nella vostra casella di posta elettronica arriverà un lungo racconto giornalistico collocato dentro o intorno a quei 24 metri per 11 (grossolanamente, non fate i pignoli). A me, che mi occuperò della cura editoriale uscendo dal seminato di quello che faccio quotidianamente su Radio 24, toccherà la parte più stimolante: ragionare sui temi e confrontarmi con autori diversi per ogni numero, ciascuno dei quali sarà accompagnato da un’illustrazione originale realizzata da artisti selezionati. A Gianluca toccherà la parte noiosa, tutto il resto. Ma siamo certi entrambi di aver dato il via a qualcosa che, prima di ogni considerazione, ci piacerà. Se amate quest’arte – ne siamo convinti – piacerà anche a voi.
Simone Spetia, giornalista di Radio 24. Interessato di politica, economia, finanza, social, storia, tecnologia, e soprattutto di tennis, oggi è autore e conduttore di “24 Mattino”.
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Sembra un progetto notevole, non vedo l'ora di leggere la prima puntata.
ma che idea fantastica!